IL PRINCIPIO

L’Associazione Sportiva Dilettantistica “Tennis Tavolo Uggiano” ormai affermatasi come punto d’incontro tra le società sportive del Sud e del Nord Salento, ci ospiterà il 28.08.2010 presso la loro palestra per illustrare ai ragazzi della nostra associazione i metodi di allenamento concretizzati da atleti che militano in categorie professionistiche

calendario handbike

Agosto

 

 

 

17-22

Baie-Comeau – CAN

Campionati del mondo UCI

 

 

29

Alba – CN

 

 

Giro italia

 

 

 

 

 

Settembre

 

 

 

5

Somma Lombardo – VA

trofeo “Mariangela con noi”

 

Giro italia

5

Rogno – BG

Memorial Fardelli

8,5

crono

19

Villa d’Almè – BG

Memorial Ghisalberti

 

 

26

Viterbo

“Non più limiti”

 

 

C.I. Società

26

Berlino – D

Real Berlin Marathon

42

 

26-27

Belgrado – SRB

Open Championship Serbia

 

Camp. Naz

 

 

 

 

 

Ottobre

 

 

 

10

Lecco

Campionato Regionale Lombardo

 

 

10

Carpi – MO

Maratona d’Italia – memorial Enzo Ferrari

42

maratona

24

Venezia

22a Venicemarathon

42

maratona

Novembre

 

 

 

7

New York – USA

ING New York Marathon

42

maratona

14

Ravenna

Maratona di Ravenna

42

maratona

28

Firenze

Firenze Marathon

42

maratona

28

Trino Verc. – VC

Mezza mar. “Terre d’Acqua”

21

1/2 mar.

Dicembre

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ad Ugento mare senza barriere, 14 sedie JOB verranno consegnate in comodato d’uso gratuito agli stabilimenti balneari

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E’ il prodotto dell’accordo tra il Csv Salento e l’Apt di Lecce.

Mettere in campo ogni iniziativa utile a sensibilizzare il territorio sulla tematica del turismo accessibile: è tra gli obiettivi del protocollo d’intesa siglato nei giorni scorsi a Lecce tra il Centro servizi volontariato Salento e l’Azienda di promozione turistica cittadina. Un altro passo cruciale, questo, in una direzione su cui già da tempo si sta muovendo il territorio della provincia di Lecce, come documenta il numero di giugno del mensile del Centro servizi “Volontariato Salento

Storia del ciclismo

La storia del ciclismo è fatta di pagine eroiche, di cavalcate mitiche sui colli più aspri delle montagne. E’ fatta ovviamente anche di atleti resistenti alle fatiche più dure nelle condizioni peggiori. Al colle dell’Izoard si arriva attraversando un paesaggio severo, con picchi rocciosi che sembrano altrettanti spettri che si ergono su un terreno arido e morenico. Quasi alla cima del colle c’è una targa che raffigura Coppi; c’è un piccolo museo con commoventi immagini storiche dove dominano le figure di Bartali e Coppi.

 

Le foto e i ritagli di giornale ricordano pagine famose della storia del ciclismo per una tappa che spesso partendo dalla luminosa costa azzurra portava al traguardo di Briancon attraversando mitici colli di cui l’ultimo era proprio l’Izoard (o l’Iz, come si dice tra ciclisti). Sempre nel piccolo museo le cronache fanno notare che Bartali e Coppi non avevano bisogno di prendere rischi in discesa.

Oppure si può pensare al Monte Ventoux, ventoso, battuto dal mistral, 2000m di pietre bianche come la neve, ammantate di nebbia o spazzate dal vento o arrostite dal sole, l’asfalto fatto di grosse pietruzze cementate insieme dal caldo torrido dell’estate, la bici che non avanza, la bocca riarsa. Sul Ventoux salì anche Petrarca per godersi il panorama che si domina da questa erta cima.

E ancora il Puy du Dome, montagna storica per le prodezze di Coppi e perché nel lontano 1627 Florin Perier, cognato del grande Pascal, misurò per la prima volta la pressione atmosferica. Questa risultò inferiore rispetto a quella misurata in pianura, confermando l’ipotesi di Pascal che l’atmosfera potesse essere considerata come un fluido.

C’è anche un ciclismo turistico più tranquillo che si accontenta di seguire le orme dei grandi e si gode i molti aspetti positivi di questo sport.

Caratteristiche del ciclismo

Il ciclismo è uno sport meraviglioso perché racchiude molti aspetti; può avere le caratteristiche di una tranquilla pedalata, oppure può avere contenuti atletici elevati se si seguono le orme dei grandi campioni, oppure ancora può essere un interessante mezzo di escursionismo e di esplorazione.

Molti programmano vacanze in bici e costruiscono un piacevole bagaglio di ricordi. Per una bella vacanza in bici è necessario che non ci siano troppe macchine intorno, per questo i ciclisti sono abbastanza esperti nello studiare percorsi lontani dalle principali arterie, diventano anzi dei veri e propri esploratori alla ricerca di località isolate, tranquille, dove in genere non manca mai un cordiale alloggio ed una buona cucina. Si può scegliere di costeggiare il mare o ci si può avventurare sui mitici colli delle Alpi, si può pedalare da soli godendosi il paesaggio oppure uscire in compagnia e raccontarsela su.

Per tutti il ciclismo è uno sport che fa bene, che non sovraccarica muscoli ed articolazioni, consente una notevole gradualità dell’impegno e pertanto si adatta alle condizioni organiche individuali.

La bicicletta

Le biciclette attuali sono veri gioielli che ottimizzano lo sforzo ed aiutano quindi campioni e non campioni a ridurre il dispendio energetico e migliorare l’efficienza della pedalata. Importante è disporre di un telaio che consenta una comoda ed efficiente posizione in sella; inoltre, come vedremo oltre, i cambi attuali rappresentano un sistema formidabile per ottimizzare la spesa energetica.

Fisiologia del ciclismo

Vediamo qualche caratteristica fisiologica e biomeccanica di questo sport.  Per pedalare in piano, il ciclista deve vincere due tipi di resistenza:

  • la resistenza al rotolamento
  • la resistenza all’avanzamento

La resistenza al rotolamento su strada liscia con gomme ben gonfie è normalmente molto bassa. La resistenza all’avanzamento rappresenta di gran lunga la principale forza che il ciclista deve vincere per avanzare. In effetti, la resistenza dell’aria aumenta con la velocità e con la sezione frontale del ciclista ed inoltre dipende dalla aerodinamicità della forma assunta dal ciclista in bicicletta, il che riflette la posizione in sella e l’appoggio sul manubrio. Risulta che la forza necessaria a vincere la resistenza dell’aria aumenta con il quadrato della velocità; inoltre per avanzare, il ciclista deve, analogamente ad un motore a scoppio, erogare potenza e questa è data dal prodotto della forza necessaria all’avanzamento per la velocità. In definitiva, quindi, la potenza che i muscoli devono sviluppare aumenta con il cubo della velocità .  Si spiega così come sia possibile mantenere una certa velocità senza soverchi sforzi, ma si accusa rapidamente ed incredibilmente fatica acuta se la velocità aumenta anche di poco. Si spiega anche quale sia il grande vantaggio di farsi tirare, infatti in questo caso la forza necessaria all’avanzamento è minore in quanto la massa d’aria viene accelerata nella direzione del movimento dal ciclista che precede; in pratica la velocità del ciclista che si fa tirare rispetto all’aria è minore se paragonata al soggetto che invece “tira”.

Il fattore aerodinamico è estremamente importante e si caratterizza con il cosidetto coefficiente Cx di cui si parla molto a proposito di macchine. Quanto minore è il coefficiente tanto minore è la forza necessaria all’avanzamento e tanto più economico risulta l’avanzamento. Un ciclista su una bicicletta da turismo ha un Cx di 1.1 , un valore molto elevato simile a quello di un TIR; viceversa la posizione abbassata su una bici da corsa consente di ridurre la sezione frontale e di assumere una posizione più aerodinamica, in questo caso il Cx si abbassa a circa 0.8 . Un piccolo cupolino aerodinamico sul manubrio ridurrebbe ulteriormente il Cx a 0.7.

La riduzione del Cx comporta minor spesa energetica, maggior economia di corsa e maggior velocità massima.

La riduzione della resistenza dell’aria è stata l’argomento alla base della scelta di effettuare il record dell’ora in quota (città del Messico). In effetti, in alta quota, a fronte del vantaggio della minor resistenza dell’aria, si verifica il considerevole svantaggio legato alla limitazione della massima potenza aerobica che si verifica appunto in quota. Attualmente, migliorata l’aerodinamica della posizione in sella, si preferisce effettuare la prova del record a livello del mare.

E’ interessante notare che nel ciclismo in piano sono avvantaggiati i soggetti di grossa taglia; in effetti, una sezione frontale maggiore comporta sì una maggiore resistenza all’avanzamento, ma è molto maggiore il vantaggio che deriva dalla forza espressa dai muscoli. Se la maggior taglia rappresenta un vantaggio in piano, essa diventa uno svantaggio in salita ove la potenza si esprime per unità di massa: atleti leggeri sono quindi avvantaggiati quando la strada si impenna. Sempre quando la strada si impenna tutti sanno di dover ricorrere al cambio.

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Il cambio

Il cambio è un mirabile strumento che consente ai muscoli di ottimizzare la prestazione al variare della pendenza del terreno. I muscoli principalmente interessati nella pedalata sono i muscoli estensori della coscia, le contrazioni sono sempre di tipo concentrico (il muscolo cioè contraendosi si accorcia). Il cambio fece la sua prima apparizione nel 1927 e fu successivamente perfezionato nel 1930 e 1936 dalla Campagnolo.

Attualmente si può disporre di cambi con tre moltipliche e nove rapporti sulla ruota posteriore.

A cosa servono dunque i rapporti? Diciamo che la forza esercitata sui pedali si trasmette alla ruota posteriore per generare l’avanzamento. La forza di propulsione della ruota sul terreno è sempre piuttosto piccola, circa 1/10 della forza esercitata dal piede sul pedale: ad esempio, se il piede esercita sul pedale una forza di 20 N, la forza propulsiva della ruota sul terreno è di 2 N. A sua volta, la forza esercitata dal piede è circa 1/10 della massima forza volontaria esercitata dai muscoli estensori della coscia. Quello che però è importante considerare non è tanto la forza quanto la potenza erogata dal muscolo la quale è data dal prodotto della forza sviluppata per la velocità di contrazione del muscolo stesso. Se, ad esempio, un muscolo si contrae sviluppando forza massimale ma non si accorcia, ne deriva che non si genera movimento e quindi la potenza è nulla. Questo sarebbe il caso di chi spinge sui pedali ma, per la durezza del rapporto, non riesce a  far girare i pedali. All’altro estremo vi è il caso di chi mulina le gambe con un rapporto molto dolce: in questo caso la velocità di contrazione dei muscoli è molto elevata, la forza esercitata è minima ma il prodotto di forza x velocità (cioè la potenza) è anche molto basso. Tra questi due estremi sta la scelta ottimale.

La fisiologia suggerisce che un muscolo eroga la massima potenza quando la velocità di contrazione è circa 1/3 della velocità massima.

L’uso del cambio consente una scelta molto precisa del rapporto per mantenere la velocità di contrazione dei muscoli vicino al valore ottimale. Ovviamente questo caso si pone quando la strada sale e la pendenza è molto variabile.

Nel ciclismo, la velocità di contrazione si caratterizza con la frequenza delle pedalate. La frequenza ottimale è sulle 80-90 pedalate al minuto, questo valore però varia in relazione alla tipologia delle fibre muscolari, alla biomeccanica del soggetto ed all’allenamento.

In laboratorio è possibile identificare la frequenza di pedalata ottimale: un soggetto viene invitato ad aumentare gradualmente la frequenza delle pedalate da 40 a 120 al minuto mantenendo la potenza costante. Si tratta di identificare la frequenza alla quale il consumo energetico (misurato come consumo di ossigeno) è minimo

La pratica del ciclismo e l’allenamento suggeriscono la scelta adeguata del rapporto. La maggior parte della gente se ne va in bicicletta con grande godimento senza pensare troppo alla frequenza delle pedalate: va bene anche così perché, come detto sopra, il ciclismo comporta comunque lo sviluppo di forze relativamente basse e proprio per questo appartiene al gruppo degli sport che “fanno bene” .

Costo energetico

E’ difficile fornire dati di validità generale in quanto il costo energetico dipende dalla sezione frontale, dalla posizione in sella e dalla pendenza; peraltro il rendimento della pedalata è stimabile intorno al 25%.

Nel ciclismo agonistico il dispendio energetico (sempre in piano e per un soggetto di 70 kg) è di 12 kcal/min, corrispondente a 720 kcal/ora e ben 2160 kcal in tre ore.

Questi semplici esempi numerici servono ad esprimere il concetto che il costo energetico unitario del ciclismo su terreno piano è basso , ma essendo in genere praticato per un tempo relativamente lungo, il consumo energetico totale può essere consistente.

Ecco un breve calcolo di dispendio energetico per una salita con dislivello totale di 2000 m (ad esempio il Colle del Gran S. Bernardo partendo da Aosta). Per un soggetto di 75 kg con bicicletta di 10 kg (peso totale da innalzare 85 kg , trascurando le marmellatine e la boraccia) il consumo energetico totale è dell’ordine di 1600 kcal. Consiglio di aumentare le marmellatine. Il consumo energetico di una tappa alpina del Giro di Francia si aggira sulle 6000 kcal; il problema qui spesso non è la tappa in sé ma il recupero per il giorno successivo.

Allenamento

Il ciclismo rappresenta di per sè una ottima soluzione per tenere in allenamento il sistema cardiovascolare, inoltre è possibile graduare il livello di impegno in relazione alle condizioni organiche individuali. Il primo problema con cui si confronta il ciclista neofita è il soprasella, la zona cioè del corpo che appoggia sulla sella. D’altra parte, anche per un ciclista con molti chilometri alle spalle, i primi 100 km della stagione pongono problemi di resistenza al soprasella. Il segreto è trovare una ottima posizione in sella il che si ottiene partendo con un buon telaio e modificando successivamente di poco la posizione sinché si raggiunge la posizione ottimale.  Per chi desidera migliorare la performance occorre sviluppare un programma di allenamento.

Facciamo il caso di chi punta a conquistare qualche passo alpino. Nella prima fase bisogna accumulare almeno 1000 km su terreno vario, meglio se collinare. In questa fase si sviluppa la resistenza generale e si trova il passo adatto, ad esempio in buon rapporto per macinare chilometri è il 52 x 19 o il 52 x 21. Nella seconda fase (circa 500-600 km) bisogna affrontare le salite, preferendo percorsi con pendenza media (7-8%), sui 12-15 km. Il miglioramento sulle salite porterà inevitabilmente a riduzione di velocità ed agilità nella pedalata in piano. Nella terza fase bisogna portarsi in macchina ai piedi dei grandi colli, farsi 15-20 km di riscaldamento e poi attaccare la salita. L’ideale è non mettere mai il piede a terra ; proprio questo è il principale problema in quanto bisogna imparare a distribuire lo sforzo in maniera da non scoppiare.  Il segreto è partire molto, molto piano (ovviamente in termini relativi) e tenere il fiato per la seconda metà. E’ molto utile studiarsi il percorso su una carta. Usciti da questa fase si può puntare a qualche circuito amatoriale con molti colli ( con dislivello totale in salita intorno ai 3000m). Si tratta di un programma ambizioso che va preparato con cura.  Consiglio dal 14 al 26 per la ruota libera e tre moltipliche davanti (52, 42 e 32).

Alimentazione

Nel ciclismo bisogna continuamente mangiucchiare qualcosa: chi si ferma seduto su un paracarro è in ipoglicemia e ha ridotto al minimo il suo glicogeno muscolare.  Non trascurare di portarsi sempre da bere. Si consiglia soluzione glucosata al 5-8%. In una giornata calda la disidratazione può essere notevole, circa 1L all’ora; va compensata bevendo con regolarità.

Conclusioni

Non resta che augurare qualche bella pedalata con qualche importante raccomandazione:

  • scegliere un percorso tranquillo;
  • indossare sempre un casco;
  • portarsi sempre qualcosa da mangiare;
  • non trascurare di portarsi una boraccia con soluzione glucosata al 5-8%. In una giornata calda la disidratazione può essere notevole;
  • va compensata bevendo con regolarità.

Il ciclismo è un buon allenamento per il sistema cardiovascolare e, come accennato all’inizio, è forse l’esercizio che è più adattabile alle condizioni organiche individuali.

Se cuore e muscoli sono protagonisti indiscussi, non si può ignorare che nel ciclismo la regina è la bicicletta. Sceglietene una bella, leggera, fatta su misura, scegliete anche il colore. La scelta attualmente per un amatore è duplice: telaio in acciaio o in alluminio. Il primo è leggermente più pesante ma non tradirà mai. Il secondo è sicuramente più leggero ma più delicato e a rischio di rottura. E’ utile farsi consigliare da persona esperta. Scarpette, guanti e, importantissimo, pantaloncino con soprasella imbottito. Sul soprasella spalmare abbondante crema a base di vaselina.

Itinerari consigliati

Percorsi senza troppo traffico. Bisogna imparare a leggere le carte per scegliere percorsi poco battuti. Qualche idea: Il famoso Canal du Midi nel sud della Francia; tutto piatto, molta ombra, poca fatica e molte trattorie. Oppure per chi vuole fare fatica: i colli delle Alpi, Iseran, Galibier, Izoard, Gran S. Bernardo e Piccolo S. Bernardo, poi, lo Stelvio, i passi dolomitici, ecc.  Per i più ambiziosi possiamo proporre come obiettivo massimo la Grenoble-Grenoble, un circuito di 220 km che include: Colle del Lautaret, Colle del Galibier, Colle del Telegraph, Colle della Croix de Fer. Per questa impresa si consiglia con molto buon senso di non vergognarsi a mettere un 28 davanti. Partenza col buio pesto, obbligatorio il fanale (non si vede niente lo stesso). All’attacco del Lautaret albeggia e c’è un fornaio che tira su la saracinesca, i ciclisti si infilano dentro direttamente dimenticando i tornanti del Lautaret. Poi l’alba incendia i ghiacciai della Meje che si fa ammirare salendo la malefica strada che porta al Galibier. Il Telegraph è roba da ridere. Invece sul Croix de Fer con il sole sul coppino non c’è proprio niente da ridere. Poi c’è ancora qualche su e giù, si passa di fianco a un terreno di golf … e poi il giro si chiude. A chi arriva in fondo viene dato un certificato (BRA, Brevet de Randonneur des Alpes). Una buona bici è certo meglio di una scassata, ma il problema non è quello!

Fonte: www.benessere.com

Preparazione atletica per la mountain bike

La mountain bike (MTB) è uno sport dove la preparazione atletica riveste un’importanza basilare. Non solo essa è di fondamentale rilievo per chi pratichi questo sport a livello agonistico, ma è indispensabile anche per chi lo consideri semplicemente un piacevole hobby. 

 

Molti percorsi, infatti, hanno caratteristiche tali da essere impraticabili da parte di chi non abbia almeno un certo livello di capacità di forza, oppure rischiano di rendere una vera tortura quella passeggiata che sarebbe dovuta essere distensiva e rilassante. Se si sta nuotando in piscina, infatti, e ci si sente stanchi, si può sempre fermarsi per riprendere fiato o per chiudere anticipatamente, rispetto ai programmi, la mia sessione di allenamento; ma ci si trova in sella alla MTB in mezzo ad un bosco o ad un prato ondulato e si va in “crisi”, in qualche modo si deve rientrare a casa o al punto di ritrovo, e ciò può costituire un finale oltremodo spiacevole per una esperienza che doveva essere positiva e costruttiva.

La preparazione atletica, dunque, è un momento cardine per la pratica anche amatoriale di questo sport. Le indicazioni che seguono sono rivolte a chi pratichi la MTB con obiettivi agonistici, ma, fatti gli opportuni adattamenti, possono servire veramente a tutti. Nel seguito dell’articolo ci riferiremo sempre ad atleti agonisti ed a gare, ma il discorso può essere sempre facilmente adattato agli amatori e alle loro uscite non competitive. Effettuare una corretta preparazione significa dunque dotare il praticante di quelle capacità condizionali, cioè di quelle caratteristiche fisiche, che gli servono per effettuare al meglio la gara. 

Le qualità che più servono ad un biker sono:

  • Resistenza
  • Forza
  • Velocità (resistenza alla velocità)
  • Mobilità o flessibilità
  • Destrezza ed equilibrio
  • Decontrazione muscolare

Le prime tre sono vere e proprie capacità condizionali, mentre le ultime tre sono caratteristiche atletiche che tendono a confluire con quella che comunemente viene definita “tecnica” di esecuzione del gesto sportivo. 

Resistenza

È la capacità dell’organismo di resistere contro la stanchezza in esercitazioni sportive di lunga durata. Quando mi affatico, infatti, per un certo tempo posso comunque mantenere l’intensità iniziale tramite maggiori sforzi di volontà. Oltre un certo punto, però, l’intensità diminuisce: la resistenza è, appunto, la capacità di contrastare questo calo di efficacia.
Viene determinata dalla capacità funzionale del sistema cardiocircolatorio, del metabolismo, del sistema nervoso e dalla coordinazione di tutti gli organi ed i sistemi. È importante anche l’aspetto coordinativo e psichico e la forza di base posseduta. L’allenamento della resistenza deve prevedere sempre sia l’allenamento della resistenza di base, sia di quella specifica di gara, privilegiando la cosiddetta resistenza aerobica. Esistono infatti almeno cinque diverse capacità di resistenza, strettamente connesse le une alle altre:

  • DI LUNGA DURATA: per percorrere una distanza per la quale l’atleta necessita di più di 8 minuti senza che intervenga un sostanziale cedimento di velocità. La prestazione avviene quasi esclusivamente in condizioni aerobiche. Richiede uno sforzo di tutti i sistemi dell’organismo, ma il fattore determinante per la qualità della prestazione è la capacità del flusso di ossigeno nell’unità di tempo, cioè la capacità aerobica.
  • DI MEDIA DURATA: durata compresa tra 2 e 8 minuti. Dipende dalla resistenza di forza e dalla resistenza alla velocità. Si verifica un debito di ossigeno. Al crescere della velocità, aumenta la richiesta energetica anaerobica. 
  • DI BREVE DURATA: compresa tra 45 secondi e 2 minuti. Vi è un’elevata percentuale di processi metabolici anaerobici. Dipende massicciamente da fattori quali la cosiddetta resistenza di forza e dalla resistenza alla velocità. Il suo livello è determinato da quello delle riserve energetiche e dalla capacità di utilizzarle in assenza di ossigeno, dalla capacità di tamponare le reazioni acide del lavoro, e dalla possibilità dei muscoli di continuare a contrarsi anche con un Ph sanguigno acido.  
  • DI FORZA: indica un tipo di resistenza localizzata nei distretti muscolari interessati.
  • ALLA VELOCITÀ: consiste nella capacità di resistere alla stanchezza con carichi di intensità  massimale o submassimale non facendo diminuire la rapidità del moto su brevi distanze.

Nella pratica della MTB tutti questi aspetti vanno coltivati: è infatti necessario possedere resistenza di lunga durata, perché la gara dura sempre ben più di otto minuti, resistenza di forza, perché vi sono spesso salite anche ripide che richiedono il ricorso a questa qualità, resistenza alla velocità, perché può fare la differenza, soprattutto in partenza, quando occorre ben posizionarsi all’interno del gruppo, ed in un eventuale arrivo allo sprint, e la resistenza di media e breve durata, perché sono propedeutiche e legate alle altre.

Forza

Tra le varie forme in cui questa qualità può essere espressa, quelle che hanno un interesse per la pratica della MTB sono:

  • PURA o MASSIMALE, che è quella più elevata esprimibile con una contrazione muscolare volontaria. È la forma più importante, perché influenza tutte le altre.
  • VELOCE: è la capacità di superare delle resistenze con una elevata rapidità di contrazione. Nella pratica la sua espressione tende a coincidere con quella del concetto di velocità, al quale si rimanda. Si esprime e si allena con movimenti rapidi. Un buon metodo di allenamento adatto alla pratica della MTB, è quello di incrementare molto la forza massimale e di trasformarla poi in forza veloce con esercitazioni specifiche rapidissime. In ogni caso l’allenamento deve essere condotto per portare ad un rapporto forza-tempo del movimento simile a quello di gara, in modo che i muscoli effettuino nel minore tempo possibile il gesto di gara, cioè la pedalata, con una resistenza pari a quella di gara. Nell’allenare la forza veloce ci si deve fermare prima dell’arrivo dell’affaticamento.
  • RESISTENZA DI FORZA: è la capacità di opporsi alla fatica durante applicazioni di forza di lunga durata. Rappresenta il punto di contatto tra le qualità della resistenza e della forza. Il suo allenamento principe consiste in primo luogo nell’esercizio di gara ed in esercitazioni specifiche rendendo più difficili le condizioni esterne. Si rimanda a quanto detto sul concetto di resistenza per ogni approfondimento.

L’allenamento di qualsiasi aspetto della forza deve essere sempre finalizzato alle esigenze specifiche del movimento di gara. La programmazione deve prevedere delle esercitazioni di sviluppo generale della forza, che precludano la costituzione di una “barriera di forza” che impedisca ulteriori progresso, poi esercitazioni specifiche, che rispettino la ritmica alternanza tra tensione e rilassamento tipica dei movimenti ciclici, e di movimento di gara. Questi ultimi, ad esempio possono essere rappresentati da sprint sulla bici partendo da fermi con carichi addizionali. Tengo a precisare che la pratica della MTB richiede lo sviluppo di forza, in tutte le sue componenti e varianti, anche in distretti muscolari che normalmente vengono trascurati in altre discipline simili. Dato per scontato il potenziamento degli arti inferiori, compresi i glutei, il biker deve allenare anche i muscoli stabilizzatori del tronco, la schiena, le spalle, i pettorali, le braccia, con particolare riferimento alle mani ed agli avambracci, evitando, però, un’eccessiva crescita di massa muscolare che si trasformerebbe in ulteriore peso da trasportare.

Velocità

È la capacità di spostarsi su una breve distanza con la massima rapidità . È una capacità complessa e difficile da allenare, i cui presupposti sono: la mobilità dei processi nervosi, che fornisce un’elevata frequenza di movimento, la forza veloce e la potenza, che incidono sull’accelerazione, l’elasticità e la capacità di rilassare rapidamente dei muscoli, la tecnica, la capacità di concentrazione ed altri meccanismi biochimici. Il biker ha bisogno della velocità in alcuni momenti specifici della gara: in partenza, quando deve lottare per conquistare una posizione favorevole all’interno del gruppo, nella volata finale, ed eventualmente in altri momenti topici della gara. In ogni caso molto spesso si può parlare più di un ricorso alla resistenza alla velocità che non alla velocità pura.

Per allenare la velocità occorre migliorare:

  1. La rapidità della reazione motoria, cioè la risposta, ad esempio al segnale dello starter o allo scatto di un avversario;
  2. La fase di aumento della velocità, in cui hanno rilievo la potenza e la forza veloce;
  3. La fase di stabilizzazione della velocità, in cui si sviluppa la massima velocità possibile.

Vista l’importanza che ha la tecnica di esecuzione del gesto, occorre innanzi tutto perfezionare per prima questa, con ripetizioni a velocità submassimale o con progressioni a velocità controllata che arrivino fino al 90-95% di quella massima, nelle quali si mantenga un perfetto controllo tecnico sviluppando al contempo una velocità simile a quella massimale. Riprendo qui il concetto di resistenza alla velocità, già trattato nella sezione dedicata alla resistenza, per ribadire che il suo sviluppo è legato a quello della resistenza aerobica, che attiene alle prestazioni cardiache e circolatorie ed alle capacità di recupero, ed a quello della velocità pura.

Mobilità o flessibilità e decontrazione muscolare

Si tratta di caratteristiche fisiche che spesso vengono confuse. La prima è la capacità di realizzare dei movimenti con grande escursione e si allena ad esempio con esercizi di stretching. Più complesso, invece è l’argomento della decontrazione muscolare, che consiste sia nella capacità di decontrarre il muscolo agonista dopo la sollecitazione sia di decontrarre gli antagonisti nel momento della sollecitazione. In entrambi i casi la deficienza di decontrazione riduce la forza, la resistenza e la velocità. Ciò è ovviamente di grande rilievo negli sport ciclici, dove il muscolo deve passare ritmicamente da uno stato di contrazione ad uno di decontrazione. La capacità di decontrazione è allenabile e può essere migliorata con slanci, balzi, scuotimenti degli arti, massaggi e trattamenti ipertermici, come bagni caldi e saune.

Destrezza ed equilibrio

Rientrano più nel campo dell’addestramento che non dell’allenamento e della preparazione atletica e garantiscono una maggiore economicità dei gesti e quindi un minore ricorso alla forza muscolare.

PERIODIZZAZIONE

Non tutti i periodi dell’anno sono uguali. Visto che non è materialmente possibile essere “in forma” sempre e che il periodo delle gare, o quantomeno quello delle competizioni più importanti, è limitato, ciò che si fa durante il resto dell’anno deve essere propedeutico ad ottenere le migliori prestazioni quando ciò ci interessa. Possiamo quindi individuare tre diversi periodi, per ciascuno dei quali indichiamo alcuni esempi di allenamenti tipici. Non va però dimenticato che ogni capacità condizionale va comunque allenata in ogni fase della periodizzazione, compresa quella di transizione se raggiunge o supera le tre o quattro settimane. Nel periodo gara gli allenamenti saranno caratterizzati da ritmi più intensi, pause di recupero più lunghe ed intervallati da giornate di riposo completo o “attivo”, a bassa intensità, finalizzate a ristabilire le scorte energetiche nell’organismo. 

Si precisa che quelle che seguono sono solo delle indicazioni di massima e non possono essere interpretate come un programma di allenamento completo: questo, infatti, deve tenere conto delle caratteristiche specifiche di ogni singolo individuo, quali, ad esempio, la necessità di diminuire o controllare il peso corporeo, di incrementare una capacità particolarmente deficitaria rispetto alle altre e così via. Solo un esame basato su alcuni test può sciogliere le riserve relative ad una preparazione individualizzata. Atleti apparentemente simili, infatti, potrebbero avere livelli di potenza e capacità aerobica, di massimo consumo di ossigeno e di soglia anaerobica diversi e potrebbero dunque necessitare di approcci alla preparazione anche sostanzialmente dissimili.

Periodo di preparazione

Gli allenamenti caratteristici di tutta la preparazione sono:

Fondo lungo

Suo scopo è quello di plasmare le basi psicologiche, organiche e muscolari necessarie perché l’atleta possa sopportare le fatiche dell’allenamento per l’intera stagione. La durata è variabile e può giungere anche alle 4 ore. Il ritmo deve essere di un 15-20% inferiore a quello di soglia anaerobica, ed anche eventuali salite devono essere intraprese sotto tale soglia. Questo allenamento è di fondamentale importanza, perché abitua psicologicamente il soggetto alla fatica, “insegna” al corpo ad utilizzare risorse energetiche costituite anche da grassi e produce adattamenti muscolari, articolari, tendinei e di tutti i sistemi.

Fondo lento

Costituisce il classico allenamento di recupero delle energie psicofisiche e rappresenta il cosiddetto “recupero attivo”: è un fondo percorso a ritmo continuo, con intensità del 25 o 30% inferiore a quello di soglia e protratto da una fino ad un massimo di due ore, assolutamente solo in pianura e possibilmente fatto in compagnia e in un ambientazione gradevole, per rigenerare anche la mente.

Fondo medio e fondo veloce

La durata del primo, sempre a ritmo uniforme, varia da 30′ a 90′ percorsi ad un ritmo cardiaco del 10 o 15% inferiore a quello della frequenza di soglia anaerobica. Il secondo, invece, ha una durata dai 20′ fino all’ora, percorsi con una frequenza cardiaca compresa tra il 95% ed il 100% di quella di soglia. Questi due tipi di allenamento possono essere anche svolti insieme andando a costituire un allenamento in progressione ed il loro scopo è quello di porre le basi per potere effettuare allenamenti a più alta intensità e per elevare il livello di soglia anaerobica.

Il cosiddetto periodo di preparazione può a sua volta essere suddiviso in due tappe, secondo il seguente schema:

I tappa, più lunga: in una programmazione annuale può durare circa quattro mesi. È caratterizzata da un quantità di carico elevata e gradatamente crescente e da un’intensità bassa. Il suo principale obiettivo, infatti, è di elevare la capacità di carico dell’atleta.

Alcuni esempi di allenamento caratteristico di questa prima tappa sono:

  • Abituarsi a “stare in sella”: non è un aspetto banale come può sembrare: uscite di 3-4 ore a ritmi blandi e costanti e con rapporti agili sono assai utili per riprendere confidenza con la bicicletta.
  • Allenamento di resistenza con variazioni di ritmo: in questa fase è bene effettuarlo su percorsi medio-lunghi per poter contribuire ad aumentare la resistenza aerobica. Può consistere in 4 o 5 ripetizioni di durata compresa tra i 10 e i 20 minuti ad una velocità di poco superiore al 50% di quella massima esprimibile, utilizzando rapporti agili ed un percorso vario dal punto di vista altimetrico. Il recupero tra le serie è tra i 4 e i 6 minuti a velocità moderata.
  • Sviluppo di forza resistente con allenamento in salita: su una salita con pendenza uniforme del 5% circa, vanno effettuate da 5 a 8 ripetizioni di durata compresa tra due e quattro minuti e con due minuti di recupero.
  • Forza:
    esercitazioni per lo sviluppo generale in palestra con bilancieri o macchine isotoniche per tutto il corpo, non solo per le gambe. Per lo sviluppo della forza vanno effettuate serie con elevato carico e basso numero di ripetizioni. Cominciare ogni seduta allenando gli arti inferiori, che rimangono comunque il gruppo muscolare più importante e non superare le 25 serie complessive per allenamento.

II tappa: il suo obiettivo è di collegare tra loro le singole componenti dello stato di forma, rendendo l’allenamento più specifico. Si mantiene costante la quantità di lavoro e ne si aumenta l’intensità.

Ecco alcuni esempi di allenamento tipici di questa fase.

  • Sviluppo della resistenza in salita: è un allenamento misto di forza e resistenza che consiste nell’effettuare da 4 a 6 ripetizioni di circa 2-4 minuti in una salita con pendenza compresa tra il 4 e l’8% con rapporti piuttosto agili. Recupero di almeno 4 minuti. In alternativa può essere valido effettuare da due o tre ripetizioni di circa 10-15 minuti in salita con gli stessi rapporti. Recupero di almeno 8-10 minuti.
  • Le ripetute a soglia anaerobica: un obiettivo basilare di un biker è quello di avere un’elevata velocità di soglia anaerobica, e l’allenamento di questa caratteristica è costituito dall’effettuare lunghe ripetute con frequenza cardiaca vicina a questo valore. Possono essere eseguite numerose ripetizioni della durata compresa tra 4 e 10 minuti con un recupero effettuato pedalando lentamente e con un rapporto agile per circa 3 o 4 minuti.
  • Sviluppo della resistenza di breve e media durata e della capacità di lavorare con alte concentrazioni di lattato: si effettuano variazioni di ritmo di durata compresa tra i due e i quattro minuti, nelle quali l’intensità del tratto veloce è superiore alla frequenza di soglia del 5%, e quella della fase più lenta è di circa il 5% inferiore alla velocità di soglia. La durata complessiva del lavoro non dovrebbe superare l’ora.
  • Allenamento a ritmo gara: consiste nel percorrere frazioni di allenamento ad un ritmo prossimo alla velocità e all’impegno che si dovrà tenere in gara. Ha soprattutto una funzione di stimolo psicologico.
  • Forza speciale: in pianura o in salita, con partenza da fermo, sviluppare la massima spinta sui pedali, tenendo rapporti lunghi, per 6 o 7 secondi. L’esercizio può essere effettuato sia da seduti sul sellino, sia in piedi sui pedali. Con l’avanzare della stagione e l’avvicinarsi del periodo di gara, occorre velocizzare l’azione, diminuendo la lunghezza dei rapporti, la pendenza della salita ed aumentando i tempi di recupero.
  • Forza resistente in salita: su una pendenza di circa il 5% eseguire da 4 a 9 ripetizioni, in una o più serie, della durata da 1’30” a 3 minuti con rapporti lunghi. Recupero di almeno 5-8 minuti tra le ripetute e di 10-15 minuti tra le serie.
  • Forza resistente in pianura: allenamento simile al precedente, dal quale si differenzia per la durata delle ripetizioni, che è di circa 30 secondi superiore e per la frequenza della pedalata, anch’essa leggermente superiore.
  • Resistenza alla velocità: si tratta di ripetizioni di durata compresa tra 30″ e i 2′ a velocità sub-massimale, con un recupero quasi completo che permetta di smaltire quasi completamente il debito lattacido.
  • Velocità: in pianura, partendo in progressione, raggiungere la massima velocità possibile e mantenerla per un tempo compreso tra i 3 ed i 6 secondi. Recupero ampio sia tra le serie che le ripetizioni, il cui numero deve essere tale da far sì che non vi sia un sensibile calo della velocità. Da quel momento in avanti, infatti, si allenerebbe la resistenza alla velocità e non la velocità pura.

Periodo gara

Il compito dell’atleta è di adeguare le capacità sviluppate nel periodo di preparazione alle esigenze specifiche relative alle gare più importanti. Si riduce la quantità di carico e si aumenta l’intensità, conformandola alle caratteristiche di gara, anche se deve essere sempre curata e mantenuta la resistenza aerobica. I mezzi di allenamento sono costituiti quasi esclusivamente da carichi specifici, quindi da lavoro sulla MTB. Per avere alcuni esempi di allenamento si possono prendere in esame quelli indicati nella sezione precedente, diminuendo il numero di ripetizioni, aumentando i tempi di recupero e la velocità delle prove ed adeguando i rapporti e la frequenza di pedalata a quelli usati in gara. Uno strumento di allenamento indispensabile, poi sono le competizioni giudicate non importanti, dove possono essere sperimentati tattiche, sensazioni, aspetti psicologici e capacità di sostenere ritmi elevati in preparazione di quelle che più interessano.

Periodo di transizione

Compito del periodo di transizione è di rigenerare le energie fisiche e psichiche, senza perdere eccessivamente il grado di allenamento. Deve essere breve e non superare le quattro settimane. In tale fase possono essere praticate discipline sportive che piacciano all’atleta, esercitazioni di tipo generale, ed addestramento tecnico sulla MTB.

Sebbene queste righe concernano esclusivamente gli aspetti legati alla preparazione atletica, si conclude sottolineando il fatto che un allenamento completo alla pratica della MTB deve comprendere numerose sessioni di lavoro tecnico finalizzate ad apprendere la migliore tecnica di guida possibile. A parità di condizione atletica, infatti, la padronanza del mezzo fa certamente la differenza tra due atleti. Durante queste sedute di lavoro tecnico, poi, dovrebbero essere inseriti esercizi specifici tali da migliorare contemporaneamente l’abilità di guida e talune capacità condizionali, fondendo quindi il momento dell'”addestramento” all’uso del mezzo con quello dell'”allenamento” propriamente detto.

Fonte: www.benessere.com

Lingua dei segni

Lingua dei segni

Descrizione

La comunicazione avviene producendo quelli che a un profano possono sembrare dei banali gesti, ma in realtà si tratta di segni (che a differenza dei gesti hanno uno specifico significato codificato ed assodato, come avviene per le parole) compiuti con una o entrambe le mani, ad ognuno dei quali è assegnato uno o più significati. Le lingue dei segni sfruttano il canale visivo-gestuale, perciò il messaggio viene espresso con il corpo e percepito con la vista.

Le lingue dei segni sono afferenti alle comunità dei sordi sparse su tutto il mondo: ad ogni nazione corrisponde una sua lingua:

  • in Italia, la Lingua dei Segni Italiana (in acronimo LIS),
  • negli Stati Uniti la Lingua dei Segni Americana (American Sign Language, ASL)
  • nel Regno Unito la Lingua dei Segni Britannica (British Sign Language, BSL)
  • in Francia la Lingua dei Segni Francese (Langue des Signes Français, LSF)

e cosi via.

È da sottolineare che non solo a ogni nazione corrisponde una specifica lingua dei segni, ma che anche all’interno dello stesso paese esistono leggere varianti regionali della lingua dei segni nazionale ed in certi casi, perfino all’interno di una stessa città tra circoli di diversi istituti (vedi il caso della LIS e delle sue varianti dialettali e delle sue varianti nella città di Roma ad es. tra l’istituto di V. Nomentana e lo Smaldone).

Storia

La comunicazione visiva dei sordi è nota sin dall’antichità: anche se le notizie su quello che allora veniva chiamato linguaggio mimico o dei gesti sono molto frammentarie. Il primo a descrivere nei suoi scritti in modo più sistematico la lingua dei segni usata dai suoi studenti sordi è l’educatore e fondatore della Scuola di Parigi per sordi, l’Abbè de L’Epèe, che, nella seconda metà del 700, decide di utilizzare questa forma di comunicazione per insegnare la lingua scritta e parlata aggiungendo dei segni da lui creati corrispondenti ad elementi grammaticali e sintattici della lingua francese.

Sicard, successore di L’Epèe, è stato un grande studioso della lingua dei segni e in generale tra gli illuministi francesi, nello stesso periodo, si può riscontrare un interesse per i diversi aspetti della comunicazione umana. Lo statunitense Thomas Hopkins Gallaudet, affascinato dall’opera di Sicard, si reca in Francia e dopo un anno di tirocinio presso l’istituto dei sordi di Parigi, decide di ritornare in patria nel 1816. Nel viaggio di ritorno in nave durato un anno impara la lingua dei segni francese (LSF) da un educatore sordo dell’istituto che porta con sè: Laurent Clerc. Gallaudet ha portato negli Stati Uniti la lingua dei segni francese, che  diffondendosi grazie alla nascita di istituti per sordi (la prima scuola è quella di Hartford nel Connecticut), e combinandosi con dei segni allora in uso presso la popolazione locale, ha dato origine alla lingua dei segni americana (ASL) (possiamo infatti notare ancora oggi delle somiglianze significative tra la LSF e l’ASL). Gallaudet è famoso, inoltre, per aver fondato la prima università al mondo per sordi.

Anche in Italia esiste e viene usata una lingua dei segni tra i sordi: esistono testimonianze al riguardo di educatori sordi della prima metà dell’800. Ma il Congresso di Milano del 1880 e la svolta rigidamente oralista che ad esso si accompagna impedisce che questa forma di comunicazione abbia un’ampia diffusione soprattutto in ambito educativo: proibita nelle classi si diffonde nei corridoi con un conseguente impoverimento linguistico e una conseguente mancanza di consapevolezza che la lingua dei segni italiana costituisca la lingua madre dei sordi, non inferiore alla lingua degli udenti. In tutti i paesi, comunque, la lingua dei segni inizia ad essere studiata da un punto di vista linguistico solo a partire dagli anni sessanta. William Stokoe, un ricercatore americano, fu il primo a dimostrare che questa forma di comunicazione non è una semplice mimica, ma una vera lingua, con un suo lessico e una sua grammatica, in grado di esprimere qualsiasi messaggio.

Sintassi

La lingua dei segni italiana è una vera lingua dal punto di vista sociologico, in quanto espressione di una comunità: la comunità dei sordi italiani. È anche una vera lingua con una sua struttura e sintassi: questa è spesso differente dall’italiano ma può avere incredibili similitudini con altre lingue orali. I verbi ad esempio non si coniugano in base al tempo, ma devono concordare sia con il soggetto (come in italiano) sia con l’oggetto dell’azione, come avviene in basco. Esistono forme pronominali numeriche per indicare “noi due, voi due” (come il duale del greco antico) e addirittura “noi cinque, voi quattro, loro tre”. La concordanza di verbi, aggettivi e nomi non è basata sul genere (maschile e femminile come in italiano) ma sulla posizione nello spazio in cui il segno viene realizzato. Esistono diverse forme per il plurale “normale” e il plurale distributivo, distinzione sconosciute alle lingue europee, ma note in lingue oceaniche. Il tono della voce è sostituito dall’espressione del viso: c’è un’espressione per le domande dirette («Vieni?», «studi matematica?») una per domande complesse («quando vieni?», «cosa studi?», «Perché piangi?») una per gli imperativi («Vieni!», «Studia!») e altre per indicare le frasi relative («il libro che ho comprato, la ragazza con cui parlavi»).

segno di ogni lingua dei segni può essere scomposto in 4 componenti essenziali:

  • movimento,
  • orientamento,
  • configurazione,
  • luogo (ossia le quattro componenti manuali del segno)

e componenti non manuali:

  • espressione facciale,
  • postura e
  • componenti orali.

Di quest’ultimo elemento, le componenti orali, poiché rappresentate solo talvolta da labializzazione simile al parlato, si ritiene che non appartengano propriamente alla lingua dei segni se non per aspetti secondari laddove il segno sia indentificabile e pienamente intelleggibile grazie alle altre componenti

Si tratta dunque di un apporto delle lingue orali la cui influenza sulle lingue dei segni si manifesta a causa di una educazione oppressiva che non permise, e talvolta anche oggi non permette, l’uso naturale della lingua dei segni ai sordi con evidenti finalità di ‘integrazione’ (forzata e a senso unico): molti sordi ad esempio usano segnare il verbo in ultima posizione (es: bambino mamma lui-le-parla) quando comunicano in Lis, tuttavia nelle traduzioni televisive il verbo viene spesso messo in seconda posizione ad imitazione dell’italiano.

Un altro evidente sintomo della pervicace ricerca di ‘integrazione’ è la pseudo-lingua detta “Italiano Segnato”, ovvero l’uso dei segni con struttura grammaticale della lingua italiana oppure, ancora, il ricorso all’alfabeto manuale (dattilologia) quando il segnante manchi, per sua ignoranza, di un segno o non sia ancora entrato a far parte della lingua nella LIS, il cherema corrisponde al fonema delle lingue parlate. Si può in questo caso parlare di coppie minime facendo riferimento a due segni che differiscono soltanto di una delle componenti essenziali. Alcune funzioni grammaticali vengono espletate dalle espressioni facciali come ad esempio la forma interrogativa. È possibile, tuttavia, con un solo segno che incorpora più elementi rappresentare intere frasi o loro parti consistenti e significative; esistono perciò segni particolari – come per esempio i cosiddetti classificatori – che svolgono più funzioni.

È importante non far confusione tra termini apparentemente equivalenti come “la lingua dei segni” e “il linguaggio dei segni”. Questo perché il termine “linguaggio”, almeno secondo il De Mauro Paravia, indica genericamente la capacità innata degli esseri umani di comunicare tra di loro in una (o più di una) lingua, indipendentemente dal fatto che si usi la voce o il corpo per veicolare tale lingua. Il termine “lingua” designa quindi un sottoinsieme ben specifico dei vari “linguaggi”.

Atletica Leggera per disabili

E’ uno degli sport più popolari del panorama paralimpico internazionale ed è praticato in più di cento paesi in tutto il mondo. Può essere considerata la prima nata dello sport paralimpico: le prime corse in carrozzina, infatti, risalgono già al 1952, anno in cui i veterani della Seconda Guerra Mondiale  parteciparono ai Giochi Internazionali di Stoke Mandeville (Inghilterra). Con la capacità di attirare il grande pubblico, l’Atletica Leggera offre una vasta gamma di competizioni ed il più grande numero di eventi sportivi.

 

Le gare, come nella disciplina olimpica, si suddividono in corse su pista e su strada e concorsi, con l’aggiunta del pentathlon quale gara combinata.

Questo sport può essere praticato da atleti con disabilità fisica, sensoriale ed intellettiva.

 A seconda della tipologia di disabilità e della classificazione funzionale attribuita, gli atleti possono gareggiare in carrozzina, in piedi (con o senza protesi sportive), insieme ad un atleta guida nel caso di atleti ipovedenti e non vedenti.

Le carrozzine da corsa e le protesi sportive sono da considerarsi a tutti gli effetti vere e proprie attrezzature sportive che, grazie all’innovazione tecnologica ed alla ricerca di materiali sempre più leggeri e performanti, hanno permesso agli atleti paralimpici di effettuare prestazioni eccezionali ponendo i loro risultati sullo stesso piano di quelli raggiunti dagli atleti olimpici.

L’Atletica Leggera, a livello internazionale, è governata dall’International Paralympic Committee con il coordinamento della propria specifica Commissione Tecnica.

 

Le classificazioni

 

Nell’Atletica Leggera gli atleti gareggiano in diverse classi a seconda della tipologia di disabilità e del grado di funzionalità:

nelle Classi 11, 12 e 13 competono gli atleti con diversi gradi di menomazione visiva; nella classe 20 gareggiano quelli con disabilità intellettiva; nelle classi da 32 a 38 competono gli atleti cerebrolesi (sia in carrozzina che in piedi); nelle classi da 40 a 46 quelli con differenti livelli di amputazione e con altre tipologie di disabilità (les autres); alle classi 51-58 appartengono gli atleti con i vari gradi di lesioni midollari e di amputazione, in pratica tutti quelli che non possono gareggiare in piedi.

L’ASD UTOPIA Sport è impegnata con TURCO Anna Grazia nelle discipline del:

–         Lancio del giavellotto;

–         Lancio del disco;

–         Getto del peso;

la stessa già campionessa Nazionale del lancio del giavellotto e varie medaglie d’argento e di bronzo nelle altre discipline, detiene per il 2010 il titolo regionale delle tre discipline.

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